La cucina delle Tre Venezie, dall’Alto Adige all’Istria, attraversando il Trentino, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, un colorato mosaico di sapori e ricette che raccontano un Nord-Est di contaminazioni e sovrapposizioni tra diverse etnie e culture. Poi c’è la Lombardia, un territorio ricco di prodotti, materie prime e piatti della tradizione con al centro la ‘locomotiva d’Italia’, Milano, con la sua solida cultura gastronomica che negli ultimi quarant’anni ha incontrato le suggestioni delle cucine etniche. Accanto il Piemonte, con i suoi vini inarrivabili e i suoi tesori ‘nascosti’ come il tartufo bianco. E poi l’Emilia-Romagna, culla del ‘mangiar bene’, che affianca la cultura dell’olio a quella del burro, il pesce azzurro agli insaccati. Fino alla Toscana, divisa fra Firenze e Siena, fra gli Appennini e la costa, ma legata dall’incedere dell’Arno, che porta con sé quel ‘comune sentire’ che si ritrova poi anche a tavola.
Non è facile mappare una cucina variegata come quella italiana. Ma a raccontare queste cinque articolate regioni ci hanno pensato le guide enogastronomiche pubblicate da Post Editori. La prima ormai dodici anni fa, Venezie a Tavola, diretta da Luigi Costa, giornalista appassionato di enogastronomia che dal 1977 si dedica a Ristoranti d’Italia de L’Espresso di cui è ancora oggi coordinatore per la zona delle Tre Venezie. E poi Emilia Romagna a Tavola e Milano e Lombardia a Tavola, dirette da Gianluca Montinaro, storico delle idee, oltre che sommelier e giornalista enogastronomico che da molti anni racconta il cibo e il vino italiani collaborando anche lui – come membro del comitato di direzione – alla Guida Espresso Ristoranti d’Italia. Da quest’anno, inoltre, le edizioni 2024 appena uscite si affiancano a due novità, Piemonte a Tavola e Toscana a Tavola, entrambe a firma di Montinaro. Saranno introdotte con un tour di presentazione in partenza il 23 ottobre, a Firenze, che proseguirà poi il 30 ottobre a Ca’ del Bosco, a Brescia, arrivando il 6 novembre all’Acetaia Giusti di Modena, il 13 novembre alla Fondazione Cuoa di Vicenza e, per finire, il 20 novembre in Piemonte.
“Abbiamo raccontato a chi ci legge, con onestà intellettuale, i locali che riteniamo migliori, le eccellenze di ogni singola regione, – spiega Montinaro, -. Anche se si parla solo per comodità di cucina regionale italiana quando si dovrebbe parlare di cucina cittadina italiana. Siamo la nazione dei mille campanili, dove ciascuno è stato capace di esprimere una propria tradizione di cucina”. Le guide edite da Post Editori recensiscono i migliori ristoranti, pizzerie, vini e prodotti, puntando a valorizzare aree e operatori territoriali che rendono conto del complesso caleidoscopio di specificità locali. Uno strumento fondamentale che funziona come una bussola per orientarsi: “Ma non ci sono punteggi, tutti i locali hanno la medesima dignità. Dalla trattoria gestita dalla stessa famiglia da quattro o cinque generazioni che racconta con passione il territorio usandone i prodotti, al grande ristorante consolidato che propone le ricette della cucina classica, fino a quello di recente apertura, gestito magari da un giovane cuoco che propone innovazione”. L’importante, secondo Gianluca Montinaro, è infatti “che la cucina sia buona”, l’unico vero discrimine per stabilire la qualità di un ristorante. Un criterio non arbitrario ma oggettivo, “perché la cucina è buona quando è fatta con scienza e coscienza, quando i piatti sono equilibrati, quando non ci sono eccessi e gli elementi che lo compongono sono coerenti fra loro”.
Ma quali i trend emergenti della ristorazione italiana in un periodo certo non facile per via della congiuntura storica? Le difficoltà sono spesso un motore importante per l’inventiva. E, secondo Montinaro, nelle cucine dei nostri ristoranti d’eccellenza hanno fatto comparsa sempre più spesso materie prime e prodotti poveri, fino ad allora poco considerati, “ad esempio vegetali, frattaglie, pesce azzurro, nobilitati grazie allo sviluppo di tecniche innovative che hanno avuto il vantaggio di far conoscere questi ingredienti”. Poi, la tendenza è anche quella di preferire ulteriormente la qualità. Una direttrice che si intercetta nella scelta di “fare meno coperti per tenere alto lo standard”, ma anche nello spingere gli ospiti verso i menù degustazione “che consentono di impostare già prima il lavoro e fare una spesa più oculata”. Sia, inoltre, nel rapporto privilegiato con “i produttori della zona. Opzione che permette di risparmiare e che radica ancora di più il rapporto con il territorio e le ricette della tradizione. Del resto un grande maestro del giornalismo italiano diceva: la cosa più bella quando ci si siede al ristorante è poter chiudere gli occhi e, mangiando un piatto, capire dove ci si trova”.
Quello che sembra non cambiare mai comunque è la voglia di stare a tavola. Una tavola che continua ad avere per noi italiani grande importanza, che ci contraddistingue per la varietà, per la qualità, per la bellezza. Lo diceva lo stesso Paul Bocuse, come nessuna nazione al mondo possedesse le tradizioni culinarie e i prodotti gastronomici del Belpaese. La tavola per noi, conclude Montinaro, “è quel luogo fisico e mentale di incontro, di scambio, convivialità e arricchimento. Attorno ad essa abbiamo storicamente costruito la nostra identità come nazione e, proprio a tavola, al di là delle provenienze e delle differenze, ci ritroviamo ancora oggi”.
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