Che ci sia un problema nell’importare manager nel Nordest è un dato di fatto. Ma non è solo una questione di importazione; è anche di creare, costruire e dare opportunità attrattive ai manager.
La domanda che mi pongo è quindi: ma si vogliono i manager nel Nordest?
Non ho la presunzione di avere la risposta pronta; vorrei solo portare un piccolo contributo esperienziale alla discussione.
Da buon ingegnere, ho imparato ad analizzare le questioni scientificamente ed il primo passo è la stesura dei dati. Partiamo dalle definizioni di manager e aggiungiamoci quella di imprenditore, per poi provare a trovare una soluzione. Usiamo wikipedia.
Manager: nell’ambito dell’organizzazione aziendale, è una persona che nell’azienda o in un ente (sia pubblico sia privato) ha la responsabilità del processo di definizione e del perseguimento di determinati obiettivi
Imprenditore: è colui che detiene fattori produttivi (capitali, mezzi di produzione, forza lavoro e materie prime), sotto forma di imprese, attraverso i quali, assieme agli investimenti, contribuisce a sviluppare nuovi prodotti, nuovi mercati o nuovi mezzi di produzione stimolando quindi la creazione di nuova ricchezza e valore sotto forma di beni e servizi utili alla collettività/società.
Già qui emerge una notevole differenza tra un gestore e un creatore che rischia in proprio, gestisce e che difficilmente, avendo creato dal nulla e tra mille difficoltà la Sua impresa, la lascerà in mano a qualcuno diverso da lui.
Definiamo poi di che imprese stiamo parlando: siamo nel Nordest e qui le imprese al di sotto di 80 Milioni di euro di fatturato annuo sono la stragrande maggioranza. Sul totale, inoltre, l’81% ha una gestione definita familiare (dato di Unioncamere Veneto).
Date queste premesse mi chiedo: se il Nordest è fatto di imprese familiari con fatturati da piccola (al più media) impresa, che manager si vogliono nel Nordest e per far fare loro cosa? Leggo da uno dei rapporti istituzionali che “Dal 2008 al 2015, ovvero negli anni della crisi, le imprese familiari del Veneto hanno evidenziato performance economico-finanziarie migliori alle imprese a gestione non familiare”.
Potrei quindi considerare concluso il mio intervento: ad oggi, per queste imprese, i manager o sono degli “yes men” che obbediscono ai dettami dell’imprenditore (che sa benissimo cosa occorre fare, sa anche come farlo e te lo dice, oppure lo fa da solo) o i veri manager se ne vanno altrove perché non servono nel Nordest. L’economista Alberto Forchielli ha scritto un libro in merito, considerato che tale fenomeno è tipico del Nordest ma si estende a tutta l’Italia del nord. Infatti ingegneri, laureati nelle diverse discipline, che sanno molte lingue, conoscono i sistemi informatici e i mezzi di comunicazione, partono da Vicenza, Treviso, Verona e dal Nordest in generale e a 30- 35 anni sono manager con titoloni altisonanti sui biglietti da visita (CEO, CIO, CCO, VP, GM, etc. etc..) e guadagnano cifre significative, ma soprattutto hanno responsabilità e incarichi che stimolano e per i quali si sentono di dover dare sempre il meglio, gratificati dal loro lavoro. Ne conosco a decine, sia in Italia che all’estero.
Ma (c’è sempre un ma) proviamo a vedere la situazione da un differente punto di vista, a capire cosa succederà in futuro e cosa fare quindi oggi per poter invertire questa tendenza che fa andare altrove i nostri talenti.
Non voglio però sembrare colui che denigra quanto fatto dagli Imprenditori del Nordest, tutt’altro. Gli imprenditori del Nordest sono coloro che hanno creato dal nulla le loro aziende e le amano alla follia (tanto da suicidarsi per loro – avete mai sentito di un manager che si è suicidato per non dover licenziare un “dipendente” o perché una banca gli ha negato un fido?). Per tale ragione si sono circondati di collaboratori dove la qualità più importante è la fedeltà, l’attaccamento al titolare prima di tutto. Non credo che questi siano valori da poco, anzi, ma quando questi valori vengono prima della meritocrazia, qualche problema di relazione con il manager si rischia di averlo. E se poi il valore più importante diventa l’appartenere alla famiglia (non avendo competenze e leadership, perché se invece ci sono tutto funziona, ma i manager non servono a quel punto) siamo in presenza di un problema.
Ma (e continuiamo con i ma…), finché c’è il fondatore presente tutto fila liscio nell’Azienda. Lui sa cosa fare, chi deve farlo e quando. E se è stato lungimirante ha dei venditori, dei produttivi e un direttore amministrativo che si occupa di non far mancare mai niente a casa (di solito una segretaria che sa tutto di lui, dei suoi traffici e di ogni spesa anche e soprattutto personale).
Ma i figli, i nipoti, le nuore, i cognati arrivano ed il titolare invecchia….e qui iniziano le baruffe. Ed oggi siamo vicini a questa fase. Anche nelle grandi aziende le generazioni successive arrivano: Del Vecchio però ci ha pensato, Benetton pure, Amenduni pure. Nelle piccole, invece, quasi nessuno ci ha pensato (attenzione: ci sono anche rarissime successioni familiari che van benissimo e che integrano pure management di livello).
L’imprenditore quindi o vende o recita ogni giorno una preghiera puntando sulla sua immortalità e spera che dopo la sua dipartita i parenti possano mandare avanti l’Azienda (cosa assai rara altrimenti l’avrebbe lasciata già in gestione a uno di questi).
Nel panorama esistono poi altri attori: i private equity che i manager veri li attraggono, li cercano. Tali attori pretendono risultati e pagano solo ed esclusivamente per ottenere questo, lasciando ampio spazio e libertà d’azione. Tali manager devono sapersi muovere nella gestione delle risorse, del capitale, della gestione produttiva e commerciale per poter garantire un processo di sviluppo che vada al di là della pura e semplice capacità produttiva o della brillante idea che aveva portato al successo l’imprenditore.
Preferibilmente devono essere manager “sicuri”, con un certo curriculum di successi ed esperienze, per poter garantire ripetibilità del risultato. E se non vanno sono sostituiti senza pietà alcuna. E lo sanno.
Spazio per giovani manager? Poco. Consiglio? Emigrare per fare esperienza all’estero e tornare (se mai lo vorranno) con un bagaglio di tutto rispetto per poter essere valorizzati e pagati per i meriti e non per altro. Ed essere pronti a dimostrare ogni giorno, pronti ad essere cacciati se non si raggiungono i risultati concordati. Una bella sfida meritocratica con un po’ dei valori tradizionali, e non solo di pura mercificazione delle professionalità.
Sono preparati i nostri imprenditori (del Nordest ma più in generale in Italia) a far spazio a manager che vogliono assumersi il rischio di prendere decisioni, rispondendo dei risultati e facendo come ritengono più opportuno che si faccia? Io sono convinto non lo siano ancora (salvo rarissime eccezioni). Sono poi disposti a pagarli per qualcosa (i risultati) che non ritengono assolutamente merito di alcuno se non di loro stessi e del prodotto da loro creato?