Quando si pianifica di visitare una città che non si conosce, ci si attrezza con una bella guida per scoprire in anteprima come è più comodo arrivarci, quali luoghi visitare, i ristoranti dove andare a mangiare. Una volta lo si faceva tramite la guida del Touring, da qualche anno lo si fa con la Lonely Planet perché non fornisce solo gli indirizzi, spiega anche perché meriti visitarli; ha un approccio semplice, “democratico” e porta dove altri non ti conducono. La Lonely Planet è come se fosse scritta da te, che hai già visitato e gustato la città. Oggi vi sono luoghi virtuali che sono tanto importanti quanto i luoghi reali; sono le “città virtuali” costituite da milioni di siti, social network e blog. Intere città che si assemblano, si intersecano, si spostano con una velocità mai conosciuta. Le città virtuali appartengono ad un “nuovo mondo” che conosciamo da poco ma che frequentiamo già molto assiduamente. Anche se non amiamo l’etichetta “social”, di fatto abitiamo il web: molte persone usano Facebook, altre Instagram, altri frequentano solo Whatsapp, Snapchat o LinkedIn, ma tutti instauriamo sia pezzi di conversazioni reali “face to face” che pezzi di relazioni virtuali, per mezzo di uno strumento social. La contaminazione tra il “vecchio mondo” e il “nuovo mondo” è totale. I dati ufficiali parlano di 29 milioni di utenti attivi sui social in Italia. Sono delle “città virtuali” costituite da piazze, vie, palazzi, ristoranti e luoghi in cui cercare un lavoro. Il web, il “nuovo mondo”, non è per niente dissimile dal nostro “vecchio mondo”, anche perché è creato da noi che tendiamo a replicare il reale.
#Social Recruiter è un libro scritto da Anna Martini e Silvia Zanella ed è una vera e propria Lonely Planet per i recruiter. E’, infatti, una guida semplice, “democratica” e destinata a luoghi ancora poco conosciuti: una guida dedicata alle aziende che vanno a “caccia” di individui che abbiano le giuste competenze. Chi cercava lavoro, o intendeva cambiare lavoro, nel “vecchio mondo” aveva a diposizione solo lo strumento cartaceo; nel “nuovo mondo” c’è la modalità analogica e la modalità digitale. Purtroppo di errori e di sviste se ne compiono molte, proprio perché nel “nuovo mondo” esiste tanta confusione: le “città virtuali” sono immense (solo LinkedIn in Italia ha 9 milioni di iscritti), in piena costruzione, con palazzi che crescono uno accanto all’altro e che dopo poco tempo scompaiono o si spopolano. Orientarsi in una “città virtuale” in continuo movimento non è per niente facile: perdersi è normale, se non si è accompagnati da qualcuno che sa come muoversi. Fatica ad orientarsi sia chi cerca il lavoro, sia chi va in cerca dei lavoratori, come i recruiter.
#Social Recruiter è una guida con i giusti indirizzi, ricca di domande e risposte; è intuitiva, caratteristica non facilmente riconoscibile nei manuali. Una chiara vocazione che si attribuisce a questo libro, come a tutta la nuova collana, “Professioni Digitali”, che Alberto Maestri ha ideato, per l’editore Franco Angeli, è quella di fornire delle mappe tridimensionali a chi opera nel digitale. Il recruiter non svolge più il mestiere di una volta che lo vedeva impegnato, di fronte ad un plico di cv cartacei, a guardarvi dentro alla ricerca di qualche candidato che stimolasse la sua curiosità. Quella del recruiter è diventata una professione molto più complessa: deve far risaltare la propria azienda, cioè fare employer branding; costruire annunci di lavoro in grado di colpire i candidati; posizionare gli annunci nei giusti canali online; verificare i candidati attraverso le referenze con un fact checking puntuale che va da Facebook ai precedenti datori di lavoro; svolgere colloqui con le persone che decide di vedere personalmente o in modalità on line (se qualcuno pensa che fare un colloquio via Skype sia la stessa cosa che farlo face to face, ci provi; poi vedrà quale molteplicità di errori si rischia di commettere in un colloquio digitale rispetto alla modalità analogica). Una professione che si è molto spostata sulla frontiera del marketing e che si sta appropriando di molti attrezzi quotidiani di questa materia aziendale.
Può sembrare strano che per il recruiter 2.0 sia necessario agire sul mercato con strumenti che non gli sono propriamente consoni, e può esserlo ancor di più in una situazione italiana in cui il livello di disoccupazione è ancora molto alto (la media italiana in questi mesi si aggira attorno all’11,5%). Dove c’è tanta offerta non sembra necessario sviluppare strategie particolarmente raffinate, si direbbe. Perché allora diventare marketer? La risposta sta tutta nella necessità di dover immaginare la posizione vacante come un prodotto. Per Anna Martini e Silvia Zanella “le offerte di lavoro oggi sono da considerarsi come tali: devono essere pubblicizzate e vanno fatte rientrare all’interno di una strategia più estesa di brand awareness”. Se non ci credete provate ad assumere, ad esempio, dei giovani ingegneri o statistici. Non sarete voi a scegliere loro; saranno loro a scegliere voi. E in questa loro scelta terranno conto di molte variabili: l’affidabilità, la reputazione, la sostenibilità della vostra azienda; il livello di crescita professionale definito; il work and life balance promesso.
Oggi un italiano su tre, secondo la ricerca Weber Shandwick, commenta la propria azienda sul web. È come se ogni azienda fosse – di fatto – un piccolo-grande social network. Questo comporta che la comunicazione aziendale non è più divisa tra interna ed esterna: si sposta dalle bacheche al web e diventa visibile ad un numero considerevole di soggetti, siano essi dipendenti che non. Come gestire il tutto? Il primo criterio è l’autenticità, come suggeriscono le autrici. Sviluppare competenze di marketing significa anche prepararsi alla gestione dei big data che già sono uno dei tasselli fondamentali delle strategie dei marketer nei confronti dei consumatori e diventeranno essenziali anche nelle strategie di attraction e retention del personale. Ma l’innovazione sta portando molte altre novità anche sul fronte delle risorse umane.
Alcune aziende hanno già iniziato a sperimentare degli specifici software in fase di selezione dei candidati. Michal Kosinski, della Stanford University, in un paper pubblicato nel 2015, ha dimostrato come la valutazione della personalità, effettuata tramite sistemi automatici, sia significativamente più accurata rispetto a quella di un tradizionale questionario di personalità e della valutazione espressa dagli amici della persona. Il nostro prossimo colloquio di selezione potrebbe essere gestito da un avatar? Qualcuno si affiderà solo a loro (per risparmiare), gli altri abbineranno le essenziali competenze umane a quelle degli algoritmi. Sicuramente la tecnologia che avremo a disposizione potrà aiutarci a non commettere i tanti errori che nel processo di selezione sono fonte di assunzioni che fanno male all’azienda e, soprattutto, alle persone. Elon Musk va oltre: “Gli esseri umani devono fondersi con le macchine se non vogliono diventare irrilevanti. Una simbiosi tra banda larga e cervello ci aiuterà a non farci scavalcare dalle macchine e a risolvere il problema del controllo. Non c’è alternativa in un mondo nel quale i computer comunicano a mille miliardi di bit per secondo, mentre gli umani digitano sulle tastiere mobili al massimo a 10 bit al secondo”.