L’ultima indagine VenetoCongiuntura, pubblicata nei giorni scorsi da Unioncamere, evidenzia come il 36,8% delle aziende manifatturiere che ha effettuato investimenti nel 2018 ha investito in formazione. Rispetto al 2017, si registra un lieve aumento, dato in controtendenza rispetto al trend generale complessivo degli investimenti da parte delle aziende, che risulta in calo.
Un segnale incoraggiante, anche se su questo fronte tanta strada resta ancora da fare, soprattutto sul piano culturale. Gli investimenti in formazione spesso vengono percepiti come di “secondo piano” rispetto a quelli indirizzati alle macchine, agli impianti, alle tecnologie, perché il loro impatto non è di immediata misurazione.
Un contributo alla sensibilizzazione e a una nuova presa di coscienza su questo tema, come già analizzato in un editoriale pubblicato lo scorso novembre, è arrivato con l’obbligo formativo introdotto dal nuovo CCNL metalmeccanici: una novità che si sta rivelando una grande opportunità e sta diventando occasione per “strutturare” proposte formative prima realizzate in modo estemporaneo o disorganico.
Molti imprenditori e Hr manager, anche nel nostro territorio, hanno capito che la formazione – prima ancora che un obbligo – rappresenta un investimento che porta con sé un rendimento elevato.
Se già in tempi non sospetti Benjamin Franklin aveva intuito che l’investimento in formazione paga il miglior interesse, di recente il tema è stato rilanciato – fra gli altri – da EY che con l’Università La Sapienza di Roma ha quantificato il ritorno di un euro investito in una (buona) formazione, capace di rendere a seconda dei casi dai 2 ai 3 euro.
Un rendimento elevato, anche nel lungo termine: come evidenziato in un efficace intervento su Quartz di Michael Simmons, esperto osservatore di questi temi, se negli ultimi anni abbiamo assistito alla demonetizzazione rapida di molti beni, resi più a buon mercato dalle nuove tecnologie, il valore della formazione è destinato a crescere e non è soggetto a svalutazione. Ecco che l’errore più grande oggi è quello di rinunciare alla formazione, per mancanza di tempo, perché assorbiti totalmente dagli impegni lavorativi. Chi non trova il tempo per la formazione continua rappresenta oggi un nuovo “gruppo a rischio”, perché non restare al passo con la rapida evoluzione delle competenze può significare – oggi più di ieri – rimanere tagliati fuori dal mercato e ritrovarsi da un giorno all’altro con un profilo poco “spendibile”.
Un rischio da cui nessuno può sentirsi esente, che riguarda tanto i bassi profili, quanto i top manager, perché avere un solido bagaglio di esperienza e di titoli oggi non è più una garanzia: in un contesto così turbolento come quello con cui facciamo i conti, la formazione è un passaggio obbligato, non solo e non tanto da una disposizione di legge, ma da un contesto che ci “chiede” ogni giorno competenze nuove.