Dopo anni di torpore e forse di distrazione di molti, finalmente anche in Italia il tema della grande trasformazione digitale dell’industria, riassunto dal termine “Industria 4.0”, ha conquistato non solo l’onore delle cronache ma anche centralità nelle politiche del Governo.
In meno di un mese il Governo ha lanciato un corposo Piano di politica industriale interamente dedicato al tema dell’Industria 4.0 e, con la legge di stabilità, ha dedicato importanti risorse a sostegno degli investimenti dedicati alla trasformazione digitale del nostro sistema manifatturiero.
La presenza di un piano adeguatamente finanziato rappresenta sicuramente una buona notizia ed è soprattutto una pre-condizione per agganciare questa grande trasformazione e per recuperare il tempo perduto rispetto ai nostri competitor (tedeschi e americani in primis).
La IV rivoluzione industriale è infatti già in atto: essa sta già cambiando il nostro modo di competere e di produrre. La tecnologia digitale e l’ingresso di internet nei prodotti e nei processi produttivi sta cambiando a grande velocità il lavoro e l’organizzazione delle imprese.
La direzione di questo cambiamento appare chiara: personalizzazione di massa, incremento della flessibilità produttiva, riduzione del time to market e del ciclo di vita dei prodotti sono alcuni degli elementi che lo caratterizzano.
Ancora vivo e incompleto è tuttavia il dibattito circa l’impatto che tali cambiamenti avranno sul lavoro. Tra scenari apocalittici che disegnano un mondo in cui il lavoro umano (almeno quello esecutivo a basso contenuto di intelligenza) sarà interamente sostituito da quello dei robot, più o meno collaborativi, e scenari più ottimistici che evidenziano l’impatto positivo di tali cambiamenti sulla qualificazione del lavoro, sull’alleggerimento della fatica e sull’aumento della sicurezza, la realtà è che ne sappiamo ancora poco e soprattutto risulta azzardato e fuorviante sbilanciarsi su previsioni numeriche e tanto meno su “modelli deterministici”.
Una cosa è certa: qualunque scenario afferma un profondo cambiamento nell’organizzazione del lavoro il cui assetto ideale futuro dipende, in ultima analisi, dalle scelte delle singole imprese le quali decideranno in base a criteri quali il livello di digitalizzazione di prodotto e di processo, l’equilibrio tra componente umana e robotica, il livello di autonomia operativa individuale e collettiva.
Altri elementi di certezza in questo quadro di forte cambiamento sono rappresentati dai fattori critici di successo per la trasformazione digitale. Due su tutti: competenze e flessibilità.
La veloce trasformazione tecnologica accelera e cambia il bisogno di nuove e più elevate competenze riferibili ai contenuti e alle traiettorie della rivoluzione industriale (robotica, bionica, grafica digitale, cloud management, ecc.).
La flessibilità rappresenta l’altro elemento chiave della trasformazione in corso: un’organizzazione del lavoro più flessibile comporta maggiore variabilità nelle mansioni, negli orari e nei luoghi di lavoro.
Le linee di tendenza che sembrano affermarsi in un’organizzazione del lavoro 4.0 sono ad esempio:
– maggiore autonomia rispetto alla subordinazione;
– maggior lavoro di squadra, rispetto al lavoro individuale;
– maggior lavoro a risultato rispetto al lavoro a orario;
– maggior lavoro mobile e da “remoto” rispetto al luogo/posto fisso
Questi cambiamenti trascinano con sé l’esigenza anche di una riscrittura della disciplina legale e contattuale del lavoro.
Già nel Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia del 2001, il compianto Marco Biagi sottolineava con queste parole l’urgente necessità di riforma delle regole sul lavoro: “Mercato e organizzazione del lavoro si stanno evolvendo con crescente velocità. Non altrettanto avviene per i rapporti di lavoro: il sistema regolativo italiano non è più in grado di cogliere e governare la trasformazione in atto”.
Quelle considerazioni, nonostante le riforme intervenute, sono ancora attuali perché la velocità e l’intensità della trasformazioni richiedono continui aggiornamenti e soprattutto richiedono che le riforme non siano solamente enunciate ma organizzate ed eseguite; come dire… abbiamo un problema di execution delle riforme!
In tal senso mi sento di affermare due grandi priorità per l’agenda del lavoro:
– riforma della contrattazione per superare la centralità e l’eccessiva numerosità dei contratti nazionali in favore della centralità del contratto aziendale;
– riforma delle politiche attive: Industria 4.0 accelera la ristrutturazione del sistema manifatturiero. Senza politiche attive efficaci difficilmente riusciremo a riqualificare e reinserire nel ciclo produttivo i lavoratori da esso espulsi a causa di questa rivoluzione.
Da ultimo alcune considerazioni sulle politiche aziendali di gestione delle risorse umane.
La Selezione: l’alternanza scuola – lavoro estesa anche all’Università rappresenterà sempre di più la modalità di selezione dei talenti più adatti alla propria organizzazione.
La Formazione: da costo a investimento strategico, da evento spot a leva di apprendimento e aggiornamento lungo tutta la vita lavorativa
Mobilità professionale: la mancanza di risorse qualificate rispetto a ciò che Industria 4.0 chiede, sposta il potere contrattuale in favore dei lavoratori qualificati che guardano con interesse alla costruzione del proprio percorso di crescita professionale più che alla stabilità del posto di lavoro. La sfida per le imprese è quella della attrazione e della gestione dei talenti.
Remunerazione: oltre alla leve di remunerazione individuale per obiettivi di tipo tradizionale (MBO), per un’impresa può diventare strategico attivare sistemi di certificazione e remunerazione delle competenze acquisite.
Sul piano collettivo, la logica del team working richiama sempre più l’aumento del peso di salario di produttività e welfare aziendale.
In conclusione, possiamo affermare con certezza che siamo agli inizi di una rivoluzione, di un sicuro cambio di paradigma, ma con altrettanta certezza possiamo dire che questa rivoluzione non avverrà né in un giorno né in un anno.
Piuttosto siamo all’inizio di un processo di trasformazione che va accompagnato sul piano culturale e formativo e non relegato a una pura questione tecnologica.
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