La nuova sfida di Torino ha fatto il suo debutto davanti a più di 40.000 persone il 24 giugno, giorno della festa di San Giovanni, patrono della città. Il suo significato è tutto dentro gli occhi – tanti occhi, occhi belli, grandi e tutti diversi, ma con lo stesso sguardo fiducioso verso il futuro – dei ragazzi e delle ragazze che compaiono nel teaser di accompagnamento al lancio del logo ufficiale della candidatura di Torino a Capitale europea della Cultura 2033. Una sigla lineare e semplice, “TO33”, di colore giallo e blu, che è stata presentata dal Sindaco Stefano Lo Russo dal palco del concerto condotto da Gerry Scotti ed è stata proiettata per tutta la notte sulla Mole Antonelliana. Al centro della scritta, dentro la “O”, di nuovo gli occhi. Anzi, un occhio solo, che scintilla. E che sembra voler indicare la strada che potrebbe portare Torino a essere la quinta città italiana – dopo Firenze nel 1986, Bologna nel 2000, Genova nel 2004 e Matera nel 2019 – a ottenere il titolo di Capitale Europea della Cultura. Un titolo nato nel 1985 – quest’anno, dunque, si festeggia il quarantennale – su iniziativa dell’ex attrice e poi Ministro della Cultura greca Melina Mercouri e che ha visto Atene come prima capitale simbolica.
Un occhio scintillante, dicevamo, simbolo della creatività e frutto del lavoro di 80 studenti – quelli protagonisti del video di lancio – di quatto scuole cittadine che, con la guida della storica agenzia Armando Testa, hanno partecipato all’ideazione del logo. Sì, perché proprio i giovani sono uno dei punti di partenza di questo percorso, come spiega l’Assessora alla Cultura del Comune di Torino Rosanna Purchia che, al suo arrivo in giunta comunale nel 2021, ha voluto riprendere una vecchia mozione del 2018 e rilanciare l’idea di “far mettere le ali a Torino” verso una dimensione internazionale e proporre la candidatura. Sfruttando, oltre al consolidato patrimonio artistico e culturale della città, ciò che rende Torino “un caso unico” in Italia, ossia “la sfida che il Sindaco Lo Russo ha voluto accettare concentrando una grande parte dei cosiddetti Fondi di Resilienza sulla cultura, vale a dire le biblioteche, il progetto sul Parco del Valentino, la nuova Biblioteca Civica Centrale: tutto un mondo che, da qui a un paio d’anni, farà improvvisamente cambiare ancora di più il volto della città”. Una sfida che è stata accolta “senza se e senza ma” e che parte, appunto, anche e soprattutto da “quel mondo che nel 2033 sarà un mondo adulto”, perché “il grande tema è quello della comunicabilità con i giovani, del saper parlare la loro lingua”, perché “se non ci mettiamo in una umile posizione di interpreti, di attesa del loro contributo, non andremo molto lontano”.
In una felice corrispondenza di amorosi sensi, a condividere la visione di Purchia ma anche di tutto il tavolo strategico che è stato formalizzato già il 14 febbraio – un tavolo che ha “dato subito una grande credibilità alla candidatura perché vede la partecipazione diretta dei principali enti che determinano le politiche sui temi della cultura e dell’educazione” – e che è composto dalla Città di Torino, dalla Città Metropolitana e dalla Regione, dalle due fondazioni bancarie (Fondazione CRT e Compagnia di San Paolo), dalle due università (Università di Torino e Politecnico) e dalla Camera di Commercio, c’è Agostino Riitano, direttore del dossier che dovrà essere presentato nel 2027. Manager culturale di successo e di grande esperienza, Riitano ha lavorato come project manager supervisor alla preparazione del dossier di Matera 2019 – direttore era il manager culturale torinese Paolo Verri – e poi alla candidatura di Procida Capitale della Cultura 2022. Da “artigiano dell’immaginario” quale è (per parafrasare il titolo di un saggio che ha scritto qualche anno fa), la sua idea sul processo di costruzione del dossier – processo che è “il primo grande progetto culturale di Torino Capitale”, perché “per noi il processo è già progetto” – è molto precisa: “l’obiettivo che noi perseguiamo è un riposizionamento nell’immaginario italiano, europeo e globale della città di Torino. L’intenzione è quella di far cadere l’ultimo velo che ancora la racconta come città industriale e porla definitivamente in una dimensione di città creativa a tutti gli effetti”. Una città creativa, dunque. Che sappia affrontare le sfide del futuro attraverso la cultura, mettendola in dialogo con le parole chiave dettate dalla Commissione Europea, ossia l’inclusione sociale, le pari opportunità, l’interdisciplinarità e la rigenerazione urbana. Che sia in grado far sì che le proprie sfide “possano essere anche allo stesso tempo delle sfide per l’Europa”. Che, ancora, sia in grado di attrarre investimenti, prima di tutto per il turismo che, in una città designata, cresce in media del 20-40 per cento con ricadute su tutti i settori.
Una città, infine, che in un certo senso non debba temere rivali. Infatti, anche se già sono sicure le candidature di Viterbo – nella Città dei Papi, l’open call del Comune per la raccolta di idee e contributi nell’ambito della candidatura scade il 31 luglio – e di Norcia-Civitas Appenninica – candidatura che, abbracciando il vasto territorio dei 138 comuni del cratere sismico del 2016, potrebbe essere in grado di accogliere in pieno le indicazioni dell’Europa per un dossier che sappia affrontare i lati critici e i problemi irrisolti di un territorio e portare avanti un progetto un trasformativo di rilancio – e si profilano anche quelle di Pesaro-Urbino, Trieste e, con molte meno certezze, di Siracusa, il Direttore Agostino Riitano – anzi, come lo chiamavano a Procida, “o’direttore” – ha ben chiare tre cose, tra le tante. Primo, che una città di dimensioni medio-grandi come Torino possa essere “paradigma di tantissime questioni, grandi questioni che attraversano l’Europa: l’accoglienza, i migranti, il tema demografico, il tema del riposizionamento, i nuovi mercati e la transizione digitale nel senso di trasformazione profonda dei processi di produzione”.
Secondo, “che l’Unione può fare la forza” e che, per questo motivo, “tutte le città che concorreranno ufficialmente al titolo di capitale europeo della cultura saranno sicuramente inserite nel nostro dossier”. Terzo, che bisogna temere soltanto “chi lavora poco”, perché “la competizione ad alto livello fa bene al Paese. Fa bene al Paese che le città inizino a pensare alla cultura non come veicolo per intrattenere, piuttosto come veicolo per generare sviluppo”.