La successione? «Certo che ci sto pensando e spingo anche i miei manager a farlo. È un tema delicatissimo, spero di rimanere il più a lungo possibile, ma non mi vedo in azienda a ottant’anni come Leonardo Del Vecchio, che stimo molto, per un semplice motivo: questa è una società di tecnologia. Quando mi accorgerò che c’è qualcuno che può portare più valore a questa azienda — e me ne accorgerò io prima degli azionisti, penso almeno un anno prima — diventerà un’opportunità: allora farò un passo più volentieri indietro che avanti». Sarà perché Federico Marchetti fa parte di una nuova generazione cresciuta a pane e Internet («Non ho mai raccontato fino ad oggi che l’operazione con Mohamed Ali Rashed Alabbar, un anno fa, l’ho chiusa su WhatsApp») che non ci sono i classici termini tabù nel suo vocabolario da imprenditore. Di certo non ci sono quelle prudenze di rito, come quando si tratta di parlare di quello che sta diventando il vero dibattito-dilemma per le aziende italiane, se sia cioè meglio accettare di pesare di meno per contare di più. «Che sia il modello per l’imprenditoria italiana mi sembra un salto molto lungo. Per quello che mi riguarda non è avvenuto solo con l’operazione che ci ha portati alla fusione con Net-a-Porter: è stato così per tutta la storia di Yoox, dal 1999 ad oggi. Sono partito con il 100 per cento come imprenditore per poi trovarmi magicamente al 33 e scendere di volta in volta fino all’attuale 6 per cento. E non lo considero nemmeno l’ultimo passaggio. Chissà? Forse è il penultimo».