Il nuovo nome può risultare poco noto –Mitsubishi Electric Hydronics and IT Cooling Spa – ma sicuramente quello di Climaveneta, che ne fa parte, è più familiare. Il gruppo giapponese fa tesoro delle competenze italiane in sistemi idronici, chiller e pompe di calore, con 7 stabilimenti produttivi nel nostro Paese: di cui 4 in Veneto tra cui il plant di Alpago (Belluno), uno dei punti di visita della Green Week. Nell’impianto denominato “M12” e nel vicino “M13” lavorano 223 dipendenti, di cui quasi il 20% opera in ricerca e sviluppo: ed è anche grazie ai forti investimenti in innovazione che l’attività dell’azienda, leader nel settore della climatizzazione, prende una decisa direzione a favore della sostenibilità ambientale.
«Abbiamo sempre creduto che per essere sostenibili non basti concentrarsi sul prodotto – spiega Francesco Marella, responsabile sicurezza e ambiente del gruppo –. Certo prestiamo molta attenzione al fatto che le nostre unità siano a basso consumo e utilizzino F-gas ecologici, a basso impatto ambientale; ma per ottenere davvero risultati significativi bisogna prendere in considerazione tutta la filiera produttiva. Ci siamo quindi concentrati innanzitutto sulla parte a monte: ad esempio abbiamo lavorato in partnership con i nostri fornitori affinché ci inviassero i componenti non nei classici imballaggi usa e getta di legno o cartone, ma in strutture in ferro riutilizzabili. Inizialmente nessuno pensava fosse conveniente, ma poi i fatti hanno provato il contrario, portando vantaggi logistici, economici e ambientali».
«Gli impianti di climatizzazione arrivano a costituire anche il 30-50% del consumo energetico di un edificio – spiega Andrea Bertelle, responsabile della comunicazione – per cui per noi guardare alle certificazioni di edilizia sostenibile non è solo una scelta “etica”, ma anche una delle basi del nostro stare sul mercato». Climaveneta collabora infatti attivamente con Green Building Council – l’organismo che promuove il sistema di certificazione LEED, i cui parametri stabiliscono precisi criteri di progettazione e realizzazione di edifici salubri, energeticamente efficienti e a impatto ambientale contenuto: «Si tratta di un legame ormai “storico” di mutuo scambio – prosegue Bertelle – . A nostra volta sosteniamo infatti svariate iniziative GBC, partecipiamo ai loro eventi come relatori, e siamo presenti nel territorio con il chapter veneto». Precisazione doverosa quando si parla di edilizia sostenibile è che «ridurre i consumi non significa solo scegliere le migliori tecnologie, ma anche customizzare il prodotto: ossia costruire unità “su misura” per l’edificio e per la sua collocazione specifica, così da ottimizzare le performance energetiche».
L’acquisizione da parte di Mitsubishi Electric, avvenuta nel dicembre 2015, ha posto l’azienda davanti ad un panorama notevolmente più vasto: «Climaveneta già era la principale azienda del distretto veneto del freddo – afferma Bertelle – e i tempi erano maturi per un ulteriore sviluppo. Il colosso giapponese ha riconosciuto in noi un’eccellenza di produzione complementare alla sua, in particolare per quanto riguarda la competenza sui gas a basso impatto ambientale: e oggi, come hub di un grande gruppo internazionale, partecipiamo a dinamiche più ampie mantenendo nel contempo la nostra specificità».
Anche sulle tematiche ambientali c’è sintonia: «Mitsubishi Electric ha messo il rispetto ambientale tra i suoi sette valori fondanti – prosegue Marella – e crede che il cambiamento culturale debba passare in primo luogo dai privati: tanto che in Giappone porta avanti iniziative di sensibilizzazione anche nelle scuole. Anche noi, per quanto ci riguarda, ci impegniamo a sensibilizzare i nostri interlocutori e a portare avanti una vera e propria “ecologia di prodotto”: che comprende appunto tutta la filiera, dai fornitori al cliente finale».
E proprio qui stanno i progetti per il futuro di Climaveneta: «Oltre a lavorare alla riduzione dei consumi energetici dei propri edifici soprattutto durante il processo di collaudo, – conclude Marella – ci piacerebbe arrivare a chiudere il ciclo, riutilizzando i rifiuti, in una sorta di circular economy che ad oggi non è prevista per i nostri prodotti».